Malgrado Belgrado (parte seconda)

tifosiabelgrado

Si racconta che il principe di Condé dormì profondamente la notte avanti la giornata di Rocroi: ma, in primo luogo, era molto affaticato; secondariamente aveva già date tutte le disposizioni necessarie, e stabilito ciò che dovesse fare, la mattina.
(Alessandro Manzoni, I Promessi Sposi, Capitolo II)

Non sappiamo che tipo di allenatore sia nell’intimo il nostro Arrigo, ma a lume di naso ci sembra più simile a questo principe di Condé che non a un banale Don Abbondio. Svegliatosi di buon mattino, come tutta la squadra, nella sua stanza d’albergo al decimo piano dell’Hotel Intercontinental di Belgrado, Sacchi apprende innanzitutto che l’UEFA ha disposto le squalifiche di Ancelotti e Virdis. L’uomo di Fusignano, nel suo personalissimo tribunale, assolve il Sardo e invece va da Carletto e gli appioppa 50 milioni di multa così, sull’unghia – e meno male che era il suo preferito. Poi si tuffa a pesce sul grande dubbio di giornata: poiché l’UEFA consente alle squadre di presentare formazioni diverse dal giorno prima, è il caso di arruolare Gullit fin dall’inizio, rischiando così uno strappo muscolare solo per esibire il Tulipano Nero e far tremare di paura gli jugoslavi?

Qualche scatto e qualche allungo, sotto l’occhio severo di Ted Troost, il fisioterapista personale che Gullit ha fatto arrivare da Amsterdam, con un aereo privato partito all’alba da Linate. Pochi minuti prima di salire sul pullman per andare al Marakanà, Gullit svolge il test decisivo nel corridoio dell’hotel, lontano da sguardi indiscreti che non siano quelli dei giornalisti italiani embedded (che tanto Twitter è ancora di là da venire). Sacchi assiste alla scena in piedi, silenzioso, già in tuta. Alcuni clienti dell’albergo scendono alla reception e chiedono se ci sia un rinoceronte al piano di sopra, perché sentono tremare tutto. A ogni scatto Troost controlla il Sacro Quadricipite e poi emette il responso: può giocare, ma non più di trenta minuti.

Si riparte alle 15. Il pubblico, che era sciamato deluso la sera prima, ha ricevuto la bella notizia: i biglietti sono validi anche per il replay e non solo: le porte vengono aperte per riempire del tutto lo stadio, visto che in città non si parla d’altro, e che la Stella Rossa desidera il clima infernale definitivo. Da “Calcio Totale” di Arrigo Sacchi: “Allo stadio c’era un clima di tensione e violenza. Si respirava l’aria che avrebbe portato alla guerra in Bosnia. Alla mattina, nel preriscaldamento, sentivamo botti e scoppi continui, ma non erano petardi o tricche tracche, bensì spari e colpi di mitraglia. Il capo della tifoseria era il comandante Arkan, che diventò tristemente famoso durante la guerra in Bosnia per le stragi e i genocidi compiuti: lo avrei incontrato di persona qualche anno dopo”.

Allo stadio ci sono anche 300 irriducibili milanisti, che hanno deciso di rimanere a Belgrado ancora ventiquattr’ore dopo aver provato a passare la notte nell’hotel dei giocatori, provocando l’intervento della polizia (“A mezzanotte stavano ancora trattando con Paolo Taveggia, direttore generale del Milan, costretto a fare ricorso a tutta la sua diplomazia per evitare altre contestazioni“, scrivono le cronache). Stankovic conferma lo stesso undici della sera prima, mentre l’alchimista Sacchi sostituisce Ancelotti avanzando Rijkaard a centrocampo e mettendo il piccolo Costacurta a fianco del tutor Baresi. Quanto a Virdis, Arrigo lancia il diciannovenne Graziano Mannari, assai stimato da Berlusconi per la sua faccia alla Tom Cruise. Per il nostro “Lupetto” è il primo esame di maturità, dopo il bellissimo gol in amichevole al Bernabeu tre mesi prima. La regia jugoslava ignora chi sia, e nella grafica delle formazioni compare con il numero 11 un certo “Grazzianno”.

grazzianno

La nebbia è attesa in serata, ma il freddo si è già portato avanti. Un intirizzito Van Basten è costretto a una soluzione di fortuna: pantaloni lunghi della tuta tagliati a metà e usati come pratici scaldamuscoli. Al fischio iniziale di Pauly, però, siamo subito caldissimi: è un Milan ben diverso da quello rattrappito di 18 ore prima, che domina e crea palle-gol a raffica, come quella incredibile che capita dopo pochi minuti: dopo un’uscita a vuoto di Stojanovic il pallone capita a Mannari che tira verso la porta, un difensore respinge e sul rimpallo svirgola maldestramente. La palla finisce dentro di un metro toccando anche terra, prima di essere spazzata troppo tardi. Troppo tardi? I milanisti già esultano, ma incredibilmente Pauly e i suoi compari restano imperturbabili. Una specie di nebbia psicologica, non così rara nelle rocambolesche trasferte europee pre-globalizzazione. Il fermo immagine, famosissimo, è più chiaro di mille altre parole.

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Andiamo avanti a menare le danze, mentre la Crvena Zvezda si affida solamente a solidi contropiedoni dall’accento balcanico. Milan padrone e al 34′ passiamo alla cassa: Evani tocca una punizione per Donadoni che pennella al centro per la zuccata di Van Basten, gol! In questo giovedì pomeriggio così bizzarro di novembre, scandito dalla voce via telefono di Bruno Pizzul, la calma gelida ed elegante da principe shakespeariano del Cigno riporta le cose alla normalità: siamo più forti, ergo passiamo il turno. Ma a Belgrado non la passi mai così liscia. Passano quattro minuti: palla clamorosa del non-ancora-Genio Savicevic per la corsa di Stojkovic che fulmina Galli di sinistro sotto la traversa. Dragan detto “Piksi”, fortissimo, giocherà un Mondiale 1990 poetico, scippato di una strameritata semifinale solo dalle chiappone extra-large dell’Argentina di Maradona; poi verrà a svernare anche in Italia, a Verona, prima di diventare un dio in Giappone. Qui la pareggia, e inizia tutta un’altra storia.

La storia di Roberto Donadoni che al 45′ del primo tempo salta insieme a Vasiljevic dopo un colpo di testa di Najdoski. Donadoni arriva primo sul pallone, ma il serbo lo prende in pieno di testa; in ricaduta Roberto cade pesantemente sulla tempia destra e perde conoscenza. In pochi attimi diventa violaceo in faccia, con gli occhi spalancati e i denti serrati, senza che il dottor Monti riesca ad aprirgli la bocca. I più agitati – lo si nota anche dalle immagini televisive – sono Maldini e Costacurta, che piangono abbracciati. Interviene Giovanni Galli in persona: si avvicina a Paolino e lo riporta all’ordine con due sberle ben assestate. Donadoni muove istericamente le gambette ma non c’è verso di impedirgli di soffocare: l’unica è inventarsi un ingresso alternativo per srotolargli la lingua attorcigliata in fondo alla gola. Con l’aiuto decisivo dei medici jugoslavi, Monti gli rompe la mandibola e gli salva la vita. Scatta la corsa all’ospedale, dove viene ricoverato nella clinica neurologica; a sera riceverà la visita di un Vasiljevic provato quanto lui. Per qualche giorno andrà avanti soltanto a succhi di frutta; tornerà a giocare dopo due mesi, e ancora oggi non ricorda niente di quell’istante. Un giovane Sandro Sabatini – oggi volto di Mediaset Premium, all’epoca inviato di Tuttosport – racconta la sua odissea belgradese: “Mi mandano subito dietro Donadoni, già all’intervallo, e non seguo più la partita. Essendo uno dei pochi a parlare inglese, mi incarico di tradurre il referto del medico a Italo Galbiati e agli altri giornalisti. Allora c’erano molti meno controlli rispetto a oggi: mi è sufficiente mostrare agli inservienti una spilletta del Milan ricevuta nel pre-partita e riesco a entrare nella stanza di Donadoni, al cui capezzale ci sono Monti e Tavana. Scene pazzesche, impossibili oggi. Un cameraman della Fininvest riesce a intrufolarsi anche lui e illumina a giorno la stanza sparandogli il flash in faccia, prima di essere allontanato in malo modo“.

Tutte le cautele del signor Troost vanno di colpo a ramengo: fuori Donadoni, entra Gullit. Che giocherà 75 minuti sulle uova, con movimenti felpati da gattone più che da pantera, piazzandosi in mezzo al campo e iniziando a fare il Rijkaard con aria ieratica. La sua sola presenza spaventa la Stella Rossa – Internet e la tv via satellite sono ancora di là da venire, i misteri e i segreti si possono mantenere molto più facilmente. C’è che la partita sta vivendo il suo declino, i 60 minuti della sera precedente si fanno sentire e il risultato di 1-1 rende la partita vischiosa e appiccicaticcia, difficile da schiodare. L’emozione è comunque grande, vibrante: i milanisti che oggi sono trentenni o quarantenni, all’epoca ragazzini, ce li immaginiamo idealmente tutti insieme in ginocchio sul tappeto del salotto davanti al tv-color, pendendo dalle labbra di Pizzul. Senza Facebook o Whatsapp a connetterli virtualmente, sono legati da un filo rossonero che li tiene invisibilmente tutti sospesi sulla stessa corda.

Gullit sfiora il gol su punizione, Stojanovic mette in angolo. La tenuta difensiva della cerniera Galli-Baresi viene messa alla prova da due retropassaggi un po’ leggeri di Costacurta, con Giovannino che fa sempre buona guardia. Stankovic mette dentro Prosinecki, delizioso 19enne dalla zazzera bionda e il piede educatissimo, che si limiterà a qualche guizzo. Calano le tenebre, arrivano i supplementari, fastidiosa appendice. Nessuno ha più la forza di imporre il gioco. Una sola occasione, gigantesca, ce l’ha Mannari, l’uomo sbagliato nel posto giusto: il suo colpo di testa debolissimo finisce in bocca a Stojanovic. Al 115′, a cinque minuti dai rigori, Sacchi l’utopista manda avanti il futuro: fuori Lupetto e dentro Massimiliano Cappellini da Bollate, 18 anni, seconda punta di qualche talento, messo apposta per tirare il quarto penalty. “Ho vinto diverse partite ai rigori, anche quando allenavo i dilettanti“, dirà tanti anni dopo Arrigo. “Ho vinto ai rigori tutte le volte che meritavo di vincere nei 90 minuti regolamentari e nei supplementari. No, non e’ un caso e neppure, come si usa dire spesso, un corso o ricorso storico. Le vittorie erano legate a semplici fattori psicologici. E’ stato così anche a Belgrado, quella tremenda sera. Avevamo giocato meglio, dovevamo vincere ai rigori. La carica era forte, la sentivo, la vedevo sulle facce dei giocatori. Dovevamo qualificarci perché eravamo più bravi. Non dico che in panchina ero tranquillo, non esageriamo, ma la concentrazione della squadra mi dava fiducia“. E allora, un bel respiro, e via.

Parte Stojkovic: rigore perfetto, Galli spiazzato. Risponde Baresi, senza paura: destro sotto la traversa. Poi Prosinecki, gelido nell’infilare l’angolino alla destra di Galli. Van Basten. Sacchi: “Marco Van Basten camminò verso il dischetto sotto una pioggia di fischi. Era tanto sicuro di fare gol che tirò con una violenza che ammutolì lo stadio. Pareggio. La sicurezza di Van Basten deve aver gelato non solo lo stadio ma anche gli avversari”. E lì toccò quindi a Savicevic. Refrattario alla banalità, il Genio tira il rigore peggiore del mondo, antesignano di quello famigerato di Montero a Manchester. Basso e centrale, respinto di piede da Galli: il pallone si impenna e torna tra le braccia di Dejan, che lo guarda con feroce mestizia. Il sinistro di Chicco Evani, il tipico quiet man dei film di John Ford, zittisce Belgrado: è 3-2. Mitar Mrkela, entrato a inizio ripresa, tira nello stesso angolo di Prosinecki, ma Galli non si inchina due volte: vola a deviare in corner, ed è quasi fatta. La ciliegina spetterebbe a Cappellini, che però si fa cogliere da improvviso senso di vertigine. E invece “lo ferma Rijkaard che mi dice: ‘Scusa mister, lui è un bambino, non può tirare il rigore decisivo’. ‘Ma tu non ne hai mai tirati. Te la senti, Frank?’. E lui: ‘C’è sempre una prima volta’. Lo sa che non ho guardato? Mi sono girato dall’altra parte. Sapevo che i rigori non potevano tradirci, ma mi sono girato e, lo ammetto, ho un po’ tremato. Poi ho sentito il colpo secco, forse il rumore di un palo e ci siamo tutti abbracciati. Una sera piena di magie, la giustizia aveva vinto. Perché, vedete, qui si continua a parlare di nebbia dimenticando cosa era successo nella seconda partita. Fortuna? Bene, l’accetto. Ma non mi piace che si dica che se non c’era la nebbia o se Frank calciava fuori quel Milan non sarebbe mai nato. Quella squadra era il grande Milan e sarebbe, in un modo o in un altro, esploso… E sono certo che quella partita la vincemmo con la forza psicologica, con la convinzione di farcela, e questo gli avversari non lo avevano capito. Per questo hanno sbagliato i rigori e noi no. Bastava un rigore sbagliato, un tentennamento da parte di uno solo e saremmo stati fuori dalla Coppa dei Campioni. Ma sul dischetto c’erano andati giocatori che si sentivano defraudati della vittoria, e che tirarono convinti di vincere. Questo influì molto sull’atteggiamento psicologico degli avversari, sui loro errori“.

E Donadoni? Riecco Sabatini, che visse gli istanti decisivi alla vecchia maniera. “Nella stanza di fianco c’è una vecchietta che ascolta la partita alla radio: non capisco una parola di serbo, ma quando c’è casino vuol dire che attaccano loro, quando c’è silenzio significa che attacca il Milan. Intanto detto il pezzo al giornale attraverso il telefono a gettoni dell’ospedale. Si va ai rigori e intuisco che il Milan si è qualificato. Torno da lui e gli dico: ‘Roberto, ce l’avete fatta, avete vinto’. Vedo una lacrima che gli scende dall’occhio sinistro“. E’ di nuovo calata la nebbia: bloccherà i nostri eroi nella maledetta, meravigliosa Belgrado fino al mezzogiorno del venerdì, 11 novembre 1988. Nessuno immagina ancora che – a eccezione di Costacurta che 18 anni dopo andrà a prendersi un importantissimo preliminare di Champions – non ci metteranno mai più piede da calciatori.

Reti: 34′ Van Basten, 38′ Stojkovic (SR)

STELLA ROSSA: Stojanovic, Najdoski, Vasilljevic, Sabanadzovic, Radovanovic, Juric, Ivanovic, Savicevic, Bursac (51′ Mrkela), Stojkovic, Djurovic (73′ Prosinecki) – All.: Stankovic
MILAN: G. Galli, Tassotti, P. Maldini, Rijkaard, Costacurta, Baresi II, Donadoni (45′ Gullit), An. Colombo, Van Basten, Evani, Mannari (115′ Cappellini) – All.: Sacchi
Arbitro: Pauly

Sequenza rigori: Stojkovic (SR) rete, Baresi II rete, Prosinecki (SR) rete, Van Basten rete, Savicevic (SR) parato, Evani rete, Mrkela (SR) parato, Rijkaard rete

Pubblicato da Giuseppe Pastore

Pugliese, classe 1985, milanista di ferro. Prima partita di cui ho memoria: Milan-Barcellona 4-0. Ammetterete che poteva andarmi peggio. Qui sotto i miei contatti.

16 Risposte a “Malgrado Belgrado (parte seconda)”

  1. Che ricordi….lacrime….grazie, un pezzo bellissimo per una partita mitica impressa a fuoco nella mia mente. Complimenti.

  2. Seconda superiore e lezioni pomeridiane proprio di giovedì….io è il Conte Fiele insieme insieme su un campo di basket per un’inutile lezione di ginnastica….niente tv…solo la radio di un bidello e un volontario che prima porta notizie….poi porta la radio direttamente….la curva solo nella testa di 3 futuri sbandati…il terzo si è perso nella nebbia meneghina….(ma questa è tutta un’altra storia)…queste sono emozioni allo stato brado….grazie a Dio sono milanista!!!

  3. Terza elementare, per combinazione anch’io a fare ginnastica con la scuola. Avevo dietro la radiolina con cui ascoltavo le partite la domenica, un’aiwa portatile per modo di dire, sui rigori sono esploso.
    PS: questo pezzo è ancora più bello di quello sul tre a due al psv, i miei complimenti!

  4. Presente nella sera della nebbia ( sullo striscione Brigate , nelle foto, si vede la mia bandiera olandese con al scritta POTSY, l’indomani non c’è più..) ma non nel recupero del giorno seguente. Un viaggio interminabile da odissea in pullman, con l’autista scaricato alla frontiera perché privo di passaporto ( questo forniva la Piersigilli..) e sostituito dalla riserva di un altro pullman. Arrivati a Belgrado veniamo rinchiusi in un parco ( dove ? quale ? ) e impossibilitati ad andare in giro. Un solo bar scrauso , cibarie ignobili e forse la birra. Lo stadio il più grande e agghiacciante inferno che abbia mai visto. Sì, più del San Paolo, più di Madrid, più di qualsiasi altro….Un inferno! Partita sospesa…esco e perdo subito il contatto con il resto della banda che si precipita in un non ben definito albergo per ricevere istruzioni sul da farsi e conforto…E’ mezzanotte, ho 23 anni, e sono in giro per Belgrado come un pirla, DA SOLO, seppure nei pressi dello stadio, Non si vede niente, una nebbia che nemmeno Testori avrebbe potuto romanzare…Incontro Ricki dei Commandos..da solo anche lui..vieni, andiamo al Casinò. Un Casinò da poveretti, ma finalmente un po’ di gente. Lì trovo 3 amici di Vecchia Guardia e l’ex giocatore Scarnecchia che sta broccolando due entreneuses ( …de noantri) . L’ex giocatore , in vena di fare il brillante, invita tutti ad una birrata, in una non ben identificata birreria. Andiamo, noi 5 ultras, il calciatore e i due puttanoni. In taxi, perché costava pochissimo. C’era un tipo che voleva addirittura farsi portare a Muggia in Taxi..perchè doveva andare a lavorare, il giorno dopo…Gli abbiamo detto..ma sei fuori? Il taxista a Fiume ti scanna e ti butta giù…e tu sparisci per sempre!…Ci ha ripensato. E’ rimasto lì. Birreria. In una TV minuscola intravediamo il gol ( inutile) dei serbi..che non avevamo visto dal vivo. Intanto beviamo e Scarnecchia in un inglese romanesco tesse trame e contratta prezzi con le due ragazze. Io e Fefè ci siamo stufati. Usciamo e c’è già lì il taxi: saliamo e mentre sta per avviarsi le due escono improvvisamente dal locale, accapigliandosi, urlando e dandosele di santa ragione. Cosa non ti combina uno Scarnecchia! Cosa non ti combinano i biglietti da centomila di Scarnecchia. Arrestiamo il taxi, pregandolo di attendere e di farci assistere al match puttanesco…Al terzo round decidiamo tutti di andarcene, in albergo. Loro tre ( i Vecchia Guardia ) hanno la camera prenotata. Uno di loro mi ospita, facendomi dormire per terra, su di un tappetino . Forse sono conciati meglio di me la ventina di tifosi della Zvezda che dormono sulle poltrone della hall dell’albergo e perfino sul davanzale di una finestra…anche loro accampati, lì, senza possibilità di tornare a casa, impavidi ad attendere il recupero del giorno dopo. Il mattino dopo , tutta la batteria di cui facevano parte i tre Vecchi è obbligata a tornare, perché il charter riparte subito. C’è un posto libero…mi propongono di tornare con loro. Tentenno…ma d’altra parte non so più dove sia il resto della mia batteria ( Brigate). Mi imbarco. Arrivo a Malpensa e i cani da tartufo mi saltano addosso. Guardi signor pulè…ho fatto il viaggio d’andata sul pullman..eh sì, fumavano tutti..eh ti credo che il cane sente qualcosa di strano. Mi spogliano e non trovano nulla, perché non c’è nulla da trovare. Passaggio fino a Milano, metrò e arrivo in via Durer che stanno fischiando l’inizio. Solo qualche anno dopo , su quei taxi, cadranno le bombe, e Belgrado, la mia Belgrado dove mi sono trovato, solo con me stesso, nella notte, a chiedermi dove cazzo fossi e che cazzo ci facessi lì…sarà martoriata dalla guerra. Mi sembra ancora adesso impossibile di essere stato lì, come dentro a un film.

  5. Ho passato la mia gioventù sulle panchine della pista di pattinaggio, di fronte al Teglione ( oggi ristorante Trotter…). Penso di aver conosciuto qualcuno a OGNI numero civico della via. Qual’ e’ il Tuo ?

  6. Dal balcone dei miei, al 3 , vedo casa tua. Ancora oggi è imbandierato quando il Milan vince scudetti o coppe….A casa dei miei riseco ancora a farlo…:)

  7. mitico teglione, la pizza più unta che abbia mangiato…..
    tavolacci di legno e pizzaiolo con maglietta rigorosamente a chiazze di sugo e chissà che altro…..

  8. ….era vergognosa! Dal punto di vista igenico/estetico un insulto!! Ma la pizza era discreta…eppoi c’avevamo 15 anni…andava bene tutto…

  9. Stefano a 15 anni pensavo che Colocolombo fosse un fenomeno….e poi col tempo ho scoperto che lo era davvero….ihihiiii

  10. mah…rispetto a questi giocatori di adesso, che andrebbero bene per stracciare i biglietti all’ingresso ( al posto degli insopportabili energumeni di mezzo mondo che vengono assoldati…) , anche un Coloncolombo, effettivamente , parrebbe un fenomeno.. Comunque , con la maglia Rossonera addosso, non ho MAI negato l’incitamento a nessuno, purchè dimostrasse di lottare , di sudare, di sbattersi. Eppoi , ragazzi….io ho visto GIANNI RIVERA. Posso dire di avere vissuto.

  11. Intendevo un fenomeno proprio al cospetto di quei quattro scarponi che continuano a farci credere siano giocatori da Milan….

    Energumeni extracomunitari si…ma alquanto timidi se ben aggrediti….è bastato un sibilante “io ti ammazzo” del Conte a fargli mollare la pezza e indietreggiare di un metro nell’ultima casalinga…che poi vorrei capire sta cazzo di regola che non si possono più mettere i panni stesi sulle transenne allo stadio…nel dubbio che siano offensivi li tolgono tutti…cazzo di società stiamo diventando…

  12. ….non dico che debbano mettere il tappeto rossonero quando entro allo stadio, anche se dovrebbero….Milanista da generazioni…come tanti altri della mia batteria e soprattutto come quelli che frequentano questo blog o similari…abbiamo speso tutta la vita, e tutti i soldi, e tutte le energie per questi colori….il Milan siamo davvero noi…e invece gente arrivata qui per disperazione, per disperazione viene assoldata a fare un lavoro simil-sbirro e pretende di insegnarti come stare al mondo all’interno del tempio , di casa nostra, praticamente…Dovrebbero darci un abbonamento vitalizio per tutta la fatica sopportata, per le ore perse, per
    le liti con mogli e fidanzate, per l’ energia fisica e mentale spesa….e invece il primo giorno di prelazione siamo li’ a fare code in banca per abbonamenti sempre più’ cari, per biglietti di trasferte sempre più’ complicati da ottenere, tutta roba che paghiamo ( a differenza di tante inutili zecche che gravitano attorno al mondo Milan….)….per poi sentirci dire dal primo energumeno o dal primo prepotente di turno : questo non entra o questo non lo appendi, questo e’ conforme, quest’altro no….il Milan sono io, siamo noi….eppure proprio l’istituzione Milan ci e’ sempre venuta in culo, mai in aiuto….

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