L’Arrigo totale

Se avete meno di 30 anni, Arrigo Sacchi vi è abbastanza familiare come nome e come volto, ma lo stesso andrebbe un po’ spiegato.
Se solo si potesse.
L’Arrigo resta una specie di enigma anche per noi milanisti, compresi noi che lo vedemmo diventare un guru per il mondo intero. Perché ancora più che i suoi schemi, il suo pressing, la sua intensità, e la famosa umilté resa irresistibile da una delle migliori imitazioni di Crozza (…quando non ne faceva troppe), il dubbio è che l’impatto calcistico della persona, della sua malata determinazione sia stato anche superiore a quello del suo pur giustamente celebrato apporto tattico.
La sua autobiografia (raccontata a Guido Conti per Mondadori, 288 pagine, 18 euro) da questo punto di vista è chiaramente una storia di ossessione. Non è Open di Agassi, questo no. Però quando lo si conclude si è quasi a disagio. Non è una lettura gaudente come Preferisco la coppa del suo maresciallo Carlo Ancelotti (tanto morbidamente emiliano quanto Sacchi è testardamente romagnolo). Perché si capisce che Sacchi non ha mai avuto realmente come avversari il Napoli o il Brasile o Trapattoni o Capello: no, i suoi nemici sono lo stress, e la esecrata arroganza degli italiani.

Potremmo persino dire che in questo libro in effetti convivono tre racconti.
Uno di questi è evidentemente per milanisti, specie di una certa età, ai quali nella parte centrale inizieranno a brillare gli occhi.
Uno è per gli amanti del calcio imparziali (facciamo finta che ne esistano), grazie alle molte pagine sul Parma, la Nazionale, Roberto Baggio, Gianluca Signorini, il Real Madrid. Persino sulla “Tigre” Arkan, di cui fu esterrefatto ospite. Sul mondo del calcio com’era e come è diventato: l’etica ricorre in tutto il libro, è la sua seconda ossessione (“Quella sera a Marsiglia fui pilatesco. Quindi non sportivo”, si autocondanna). E vivaddio, per le parti in cui si parla un po’ di tattica.
Uno infine è per chi vuole capire l’enigma umano dell’uomo che vent’anni fa, non stiamo esagerando, divideva l’Italia. Sacchi il pazzo, Sacchi l’ossessionato, Sacchi il raccomandato da Berlusconi, Sacchi il profeta. Sacchi che perde la finale col Brasile, Sacchi che però ci porta in finale col Brasile. Sacchi che punta sull’organizzazione, Sacchi che per questo motivo è nemico del talento. Sacchi il rivoluzionario, Sacchi il sopravvalutato. Sacchi che – lo disse addirittura sua figlia in un’intervista, andando inconsapevolmente a individuare un aspetto tragico di un popolo perennemente bisognoso di guitti e battutisti – “Non è simpatico”.

Una cosa però la si capisce, perché lui non la nega mai: l’Arrigo è malato. Malato di calcio. La tensione lo divora anche quando allena il Bellaria o la Primavera del Cesena.
Quello che non si capisce mai, quello che lascia l’enigma insoluto è: perché?

Sì, è strano chiederselo: molti di noi diventano pazzi, si tormentano per la loro squadra. Ma nel suo caso, il tifo non c’entra: la sua per il calcio è la mania febbrile degli scacchisti, quella che ha fuso la testa di tanti maestri, a partire dal più grande di tutti, Bobby Fischer. La sua applicazione feroce “ha richiesto da parte mia uno sforzo fisico e mentale che mi ha stremato e logorato molto presto, come la fiamma che dà una grande luce”. Come testimoniato anche dai suoi giocatori, in albergo Sacchi gridava fortissimo nel sonno perché sognava calcio – svegliandosi sudatissimo e col cuore a duemila. “Quando tornavo a casa, invece di stare con la mia famiglia pensavo a nuovi allenamenti, guardavo le partite degli avversari”. 

…Bene.

Visto che siete arrivati fin qui, ecco un po’ di ciccia. Queste che seguono sembrano tante, ma sono solo una piccola parte delle cose interessanti contenute in questo libro.

– “L’Italia è un Paese pessimista, quindi esprime squadre pessimiste, votate alla distruzione invece che alla costruzione”.
– “Gli dissi: piuttosto che far giocare Borghi io sto fermo un anno”.
– “Volevo smettere di allenare, ma non ce la facevo. Quando il Parma esonerò Malesani, come il fumatore che vede un mozzicone, dissi subito di sì”.
– “Van Basten venne a dirmi: Ora che faccio l’allenatore ho capito quanti problemi ti ho creato. Io gli risposi: Se ti può consolare, me ne hai risolti anche tanti!”
– “Il mio osservatore Bianchedi amava il calcio come le donne. Al ritorno da Lisbona mi raccontò del Benfica, ma soprattutto di un suo amplesso in una cabina telefonica”.
– “La forza di 11 uomini non potrà mai raggiungerla nessuno individualmente”.
– “Con Baggio, quel giorno presi la soluzione più difficile e impopolare”.
– “Nel 2003 ero in Brasile a visionare un giocatore per il Parma. Arrivò la notizia del crac Parmalat. Chiamai Berlusconi che mi disse: Stia lontano a tutti i costi. Non è un buco, è un cratere”.
– “Nei test sui 50 metri per non demoralizzare Ancelotti gli abbassavamo il tempo impiegato”.
– “Dopo la prima partita il Corriere dello Sport, in un articolo firmato da Italo Cucci, scrisse che avevamo sbagliato competizione, avremmo dovuto partecipare ai Gay Games”.
– “Quando rimproverai Gullit perché pensava con un’altra parte del corpo invece che con la testa, si sentì profondamente umiliato. Per mesi, dopo ogni partita, quando andavo a complimentarmi abbassava la testa e diceva: Però lei non mi dica più quelle cose”.
– “Ad Alfonsine la passione per il calcio era straordinaria. Negli ultimi tre anni la società aveva esonerato cinque allenatori di fila; gli ultimi tre erano stati addirittura picchiati dal pubblico”.
– “Dopo due mesi di lavoro intenso, presi da parte Berlusconi e gli dissi: Guardi che qui stiamo sognando solo io e lei: finché non faremo sognare anche loro, non avremo risolto il problema”.
– “Baggio era in crisi di autostima. Negli allenamenti suggerivo ai difensori di farsi scartare”.
– “Mi sentivo sempre dire che gli allenatori non contano niente, che sono i giocatori quelli col talento. In risposta chiedevo se anche il contadino non conta niente, perché le piante crescono da sole”. 
– “Volevo smettere già dopo il primo scudetto. Ma c’era la Coppa dei Campioni, come facevo?”
– “I problemi fisici di Zoratto erano un problema per tutta la squadra. Poi una sera, lo vidi attaccato a una cabina; fra lui e la cabina c’era una ragazza più alta di lui. Allora capii perché soffriva stiramenti al polpaccio. Quando arrivò all’allenamento gli diedi un mazzo di chiavi: Tieni, portala in appartamento. Con questo sistemammo il centrocampo”.
– “Acquistammo Angelo Colombo. Il presidente Berlusconi mi disse: Sacchi, non ho speso cento miliardi di lire per comprare un giocatore che si chiama Colombo. Ma chi è?”
– Cedemmo Angelo Colombo al Bari. Berlusconi si era affezionato al gregario: Con lui abbiamo vinto tanto. Risposi: Non ha più motivazione. Berlusconi mi disse: E lei come fa a saperlo? Gli spiegai: Quando lo chiamo a casa, risponde il maggiordomo. Se Colombo ha il maggiordomo, è finita”.
– “Io sapevo che Bergomi era più forte di Mussi e che Vierchowod era più forte di Costacurta, ma non si muoveva con gli altri difensori e inseguiva l’avversario perché veniva dalla scuola del calcio individuale”.
– “Dal Parma avevo portato due difensori di fascia, Bianchi e Mussi. Quando incontrai Tassotti, gli dissi: io credo in te. Lui mi rispose: Lo so, Mister: altrimenti se ne sarebbe portati quattro”.
– “Vialli aveva un rapporto complesso con Baggio. Una volta mi rimproverò di parlare più spesso con Baggio che con lui”.
– “Fontolan del Verona uscendo dal campo mi indicò Gullit e mi chiese: Di cosa è fatto? Ci siamo fatti male noi a picchiarlo”.
– “Oggi il calcio rispecchia una società vecchia, in crisi economica e culturale, senza progettualità, che punta sul singolo e giocatori stranieri per rimediare a una povertà complessiva di idee”. 
– “A Belgrado, quando sentimmo nella nebbia il fischio che indicava la fine del primo tempo, rientrammo negli spogliatoi preoccupati. La preoccupazione lasciò il posto allo stupore quando trovammo Virdis vestito. E tu cosa fai qui? Lui disse: Come sarebbe? Mi hanno espulso! Non avevamo visto. Non si vedeva davvero niente”.
– “Baggio mi disse: Ma lei avrebbe sostituito Maradona? Gli risposi che per il bene della squadra avevo sostituito anche Van Basten”.
– “Dopo qualche mese, Berlusconi mi disse: Il suo Ancelotti è un direttore d’orchestra che non conosce la musica. Lo dissi a Carlo. Lui con molta umiltà si mise ad allenarsi anche con la Primavera”.
– “Presi da parte Signorini e gli dissi: Non ti confermo, e tu sai perché. Fui molto duro con lui. Ma due giorni dopo venne a dirmi: Mister, sono due notti che non dormo. Io voglio restare in questa squadra. Se crede in me, sarò il primo ad arrivare agli allenamenti e l’ultimo ad andarsene”.
– “Baresi, Ancelotti e Gullit erano la spina dorsale del mio Milan. Una volta in una trasferta a Barcellona mancarono tutti e tre. Al ritorno l’aereo fu scosso da turbolenze violentissime, ci fu molta paura. Il giorno dopo Ancelotti mi telefonò dicendo che anche se fossimo caduti, non ci avrebbero dato la prima pagina perché mancavano loro tre”. 
– “I giocatori del Medellin che dovevamo incontrare in finale fecero un gesto che mi colpì molto: aspettarono il Milan alla fine dell’allenamento. Volevano l’autografo”.
– “Virdis durante le trasferte leggeva”.
– “Il calcio è lo specchio della società”.
– “Al presidente del Real ripetevo sempre: Dobbiamo creare entusiasmo giocando la partita, non perché i giocatori sono diventati dei personaggi. Questo non è un film, è una squadra di calcio”.
– Al San Paolo, Bruscolotti diede a Gullit un calcio in area a gioco fermo. Lui si voltò e gli disse: Ma cosa fai? Lo sai che se ti dò un calcio io ti rovino?”
– “Con i Ceki fui criticato pur avendo fatto l’opposto di quello che avevo fatto ai Mondiali, quando tolsi in un secondo Baggio contro la Norvegia e nelle partite successive non feci turnover. Stavolta venni criticato per il troppo turnover, e perché aspettai a fare cambi dopo l’espulsione di Apolloni. Questo naturalmente non giustifica la sconfitta”.
– “Il calcio dovrebbe trasmettere dei valori a una società in crisi morale”.
– “Berlusconi per l’ultimo mese di campionato chiese alla squadra, seduta a tavola, astinenza sessuale fino all’ultima giornata. Gullit alzò la mano e disse: Presidente, io con le palle piene non riesco a correre”.
– “Tutti dicevano che spremevo i giocatori. Ma se si va a guardare, tutti i miei giocatori hanno avuto una lunga carriera. L’unico che usciva a pezzi da quel Milan ero io”.

Vi abbiamo riportato un sacco di cose, può bastare – alla Mondadori non saranno felicissimi. Per cui se volete sapere anche quale giocatore era pigro e svagato, “Noi cercavamo concentrazione a Milanello, lui andava nel boschetto a sparare con un fucile”, se volete sapere a chi disse “Shevchenko e Kakà sono andati a guadagnare di più. Vuoi fare la stessa fine?”, se volete sapere cosa si dissero lui e Baresi quando il Milan non ingranava, c’è anche questo. Se siete milanisti, forse dovreste comprarlo, o quanto meno chiederlo in biblioteca, con umilté.

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