Come imparammo a non preoccuparci e ad amare Kakà

kakaceltic

Bonera è il simbolo di una nuova solidità difensiva
(Luigi Garlando, Gazzetta dello Sport, 8 marzo 2007)

All’indomani di Manchester-Milan 3-2, Maurizio Crosetti su Repubblica diede la miglior definizione di Kakà che il sottoscritto abbia mai letto: “Un giocatore esatto, che fa l’effetto di una porta che sbatte all’improvviso“. Kakà che quando parte è come Stanley Kubrick, solenne, definitivo, inappellabile. Kakà così poco brasiliano nel fuggire il gesto superfluo e il ghirigoro, consapevole che la linea più breve per andare da A a B è la linea retta.

Kakà che prende palla a centrocampo contro il Celtic, chiusissimo a tripla mandata, sopravvissuto per 180 minuti, resistente anche alla mangusta Inzaghi e ora più determinato che mai a spingerla fino alle colonne d’Ercole dei calci di rigore, dove Boruc vale Dida e chissà, forse anche qualcosa in più. E’ il decadente Milan di Ancelotti che in campionato ha ritrovato un minimo di smalto grazie a Ronaldo, purtroppo non schierabile in Coppa, dove i rincalzi si chiamano Gilardino (per Inzaghi) e Brocchi (per Gattuso). E’ il Milan della tremebonda linea difensiva Oddo-Bonera-Maldini-Jankulovski, che alligna in panchina dei loschi figuri: Favalli, Gourcuff, l’abbominevole Ricardo Oliveira. Non è serata di guizzi, di paillettes e di musichette. Pirlo – che anni dopo parlerà di quella Champions come se l’avesse vinta da solo – traccheggia a centrocampo senza costrutto, soffocato nella rigidissima gabbia dei maniscalchi di Gordon Strachan.

Non sembra neanche la Champions, non quella in cui in autunno abbiamo strapazzato in casa AEK Atene e Anderlecht, che erano venute graziosamente a offrirsi alle galoppate del Kakazinho. Sembra piuttosto una di quelle serate anni ’80 passate a guardare il cronometro, quando il Malines o il Pisa di turno arrivavano a San Siro con l’elmetto, schierati a testuggine contro i Sacchi boys. Ma Maldini è ormai un attempato centrale che ha rischiato la patetica frittata già al 6′, smanacciando in piena area sotto lo sguardo misericordioso dell’arbitro Plautz, che decideva per il non luogo a procedere.

Non sarà questo il Milan che vincerà la settima Coppa Campioni, questo è certo; ma almeno provarci, sentire il profumo dei quarti per il quinto anno consecutivo, questo si può. 92 minuti sono volati via a scervellarsi come lo studente caprone sul problema di geometria che non gli riesce. Il Celtic è squadra con la scorza. Il portiere polacco Boruc l’anno prima ha avuto l’ardire di farsi il segno della croce a Ibrox Park, sotto la curva protestante dei Rangers. Da quel giorno è “The Holy Goalie“, il portiere santo, che stasera tiene fede al soprannome aprendo le ali su Kakà, Pirlo, Seedorf. Barricato in difesa, il Celtic non si perita di attaccare: abbandonato a sé stesso è il lungagnone Vennegoor of Hesselink, che già avevamo incontrato nelle nostre gite a Eindhoven. Gira molto al largo il giappo Nakamura, ex reggino dalle punizioni proibite e poco altro. Lo spartito è monotono come un giovedì pomeriggio a Pavia.

E’ in questo quadretto tra il sonnacchioso e il desolante, in questo scenario post-atomico da romanzo di Cormac McCarthy che Kakà decide tutt’un tratto che è arrivato il momento di giganteggiare. Riceve da Ambrosini poco prima del centrocampo, resiste alla robusta carica di Sno e parte, deciso e magnificamente diritto, senza fermate, come l’Express Linate-San Babila. Boruc sarà anche il San Portiere, ma Ricky – che notoriamente belongs to Jesus – non si fa prendere da complessi d’inferiorità e lo buca in mezzo alle gambe. Finisce lì, quasi alle ventitré di una serata invernale da cappotto. Sbuffiamo, ci rilassiamo, sorridiamo. Siamo felici, forse.

Abbiamo ritrovato Kakà sabato sera, in quegli avvilenti 70 minuti a Torino. A metà primo tempo si è trovato davanti uno di quegli spazi aperti in cui andava a nozze, da aggredire col sorriso stampato in faccia. Però si è quasi fermato, guardando nello specchietto come un pensionato in tangenziale invece di tirare dritto. Ci è tornata in mente una vecchia canzoncina per bambini, La Tartaruga di Bruno Lauzi: “Come un siluro filava via, che mi sembrava un treno sulla ferrovia/Ma avvenne un incidente, un muro la fermò/si ruppe qualche dente, e allora rallentò…“.

Reti: 93′ Kakà

MILAN: Dida, Oddo (116′ Simic), Bonera, P. Maldini, Jankulovski, Gattuso (79′ Brocchi), Pirlo, Ambrosini, Seedorf, Kakà, Inzaghi I (73′ Gilardino) – All.: Ancelotti

CELTIC: Boruc, Telfer, McManus, O’Dea, Naylor, Nakamura (106′ Miller), Sno (97′ Beattie), Lennon, McGeady, Jarosik (62′ Gravesen), Vennegoor of Hesselink – All.: Strachan

Arbitro: Plautz

Pubblicato da Giuseppe Pastore

Pugliese, classe 1985, milanista di ferro. Prima partita di cui ho memoria: Milan-Barcellona 4-0. Ammetterete che poteva andarmi peggio. Qui sotto i miei contatti.

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