Gli occhi di Borgo

“Oooh, Borgonovo! Borgoborgoborgoborgonovo”

C’è una persona molto importante per la mia famiglia, che qualche anno fa è morta di quella roba lì. Perché ve lo dico? Non so. Forse perché ci sono molti modi per morire, veramente un sacco, il buon Dio nella sua infinita saggezza ne ha creati migliaia, tutti ingegnosissimi. Ma quando decide di ammazzare qualcuno con la Sla, ti viene da chiedere: ma con questo, ce l’avevi proprio, vero? E vai a capire perché. Veramente, vai a capire perché. Come si poteva avercela con Stefano Borgonovo? Insomma, anche calcisticamente. Anche da avversari.

Con noi, giocò pochissimo. Probabilmente Sacchi lo trovava troppo poco moderno. Ma in quelle quindici, sedici partite trovò il modo di farsi amare.


Era il centesimo, e la finale se ne stava volando via. Forse l’avevamo fatta un po’ facile: noi eravamo i campioni d’Europa, noi eravamo la modernità, il nuovo calcio totale. Loro erano gli anni 70. Sì, avevano il nome, il passato prestigioso. Avevano in difesa Kohler e Augenthaler, la quintessenza dei feldmarescialli difensivi. Avevano a centrocampo Strunz e Reuter, e davanti Wohlfarth e Olaf Thon. Però non avevano stranieroni da cinema come i nostri olandesi. 
E invece, una cosa che noi tendenzialmente trascuravamo, era che il Bayern Monaco non è come le altre squadre. Vuol vincere sempre ma non per motivi banali, come rivalità stracittadine o nazionali, o perché ha un presidente ambizioso, o perché è un gruppo unitissimo. No, il Bayern Monaco vuol vincere perché glielo devi dimostrare, che tu sei più forte di lui. Altrimenti non te lo permetterà mai. Ed ecco perché tra cinquant’anni ci saranno tra le squadre più forti d’Europa dei nomi che non ci aspettiamo. Ma potete stare certi che tra quelle ci sarà sempre il Bayern Monaco.

E insomma, noi avevamo vinto all’andata, 1-0, Van Basten su rigore, uno di quelli col suo saltino. Per fallo su chi? Su Borgonovo.
Loro ci avevano dato appuntamento all’Olympiastadion, il 18 aprile 1990. E lì avevano fatto quello che il Bayern fa di solito in casa. Avevano segnato. Con Strunz. Strunz!!!
Mentre noi a segnare non ci riuscivamo proprio. Mancava Gullit, infortunato. E non solo Van Basten sembrava preso tra Kohler e Augenthaler come una salsiccia in un hot dog, ma nemmeno Massaro sembrava in grado di rimediare come succedeva di solito, con Gianni Brera che paragonava lui e Van Basten a Patroclo e Achille, con quest’ultimo che gli diceva: “Io stasera non ho voglia, prendi tu le mie armi e abbatti il nemico”.

Era proprio complicata, questa partita con i tedesconi, e a mettere ancora più ansia era la telecronaca di Sandro Piccinini, perché non avevamo ancora familiarità con il suo “PERICOLO!”: il presidente si era appena comprato le dirette di Coppa dei Campioni, e noi continuavamo a ricordare il tono bonario di Pizzul, grazie al quale avevamo conservato le coronarie anche in battaglie paurose come con Stella Rossa, Real Madrid, Malines. Ora invece su Italia Uno sembravamo sempre in pericolo. In un campo più piccolo.
E sembravano piccoli anche i nostri, piccoli come Arrigo Sacchi e il suo calcio totale. Li guardavamo e sembravano ridimensionati. Naturalmente guardavamo Van Basten, Massaro, Rijkaard. Figurati se guardavamo Borgonovo. Entrato dalla panchina al posto di Stroppa. Un giocatore così poco sexy. Uno che veniva da un calcio vecchio, comprato anni prima, ma girato ad altre squadre. Uno che si infortunava. Uno che era più legato alla Fiorentina che a noi, toh.

E invece, una cosa che tendenzialmente trascuravamo (un’altra) è che i tedeschi subiscono soprattutto una cosa dagli italiani. Le furbate. Il gol di Paolo Rossi. Il no-look di Pirlo (juventino, giusto?) per Grosso nel 2006. I successivi contropiedoni, che portarono altri gol. Insomma, i tedeschi odiano essere uccellati.
E quindi, chi poteva uccellarli più di un attaccante così italiano come Stefano Borgonovo?

Eluse il fuorigioco – che era una cosa che i nostri non facevano spesso, perché eravamo NOI a mandare in fuorigioco gli altri, in quel periodo, e a schiacciare le difese contro la loro porta. Vide il portiere fuori, con quegli occhi che negli ultimi anni della vita ha usato per parlare, e noi con gli occhi seguimmo il pallone mentre saliva.
E mentre scendeva. In porta.

Ciao Bayern. Ciao Jupp Heynckes. Probabilmente contro il Benfica avresti vinto la tua prima coppa. Ma non era il momento per te. Era il momento di Borgonovo. Grazie, Stefano.

4 Risposte a “Gli occhi di Borgo”

  1. Bell’articolo ma Borgogol segnó il temporaneo 1-1,poi venne il 2-1…cmq non cambia di una virgola, non lo dimenticheremo mai…RIP Borgo!!!

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