Gigi Radice, diavolo mancato

Figlio di una casalinga e di un operaio della Snia, nato a Cesano Maderno, a un minuto dalla Cusano Milanino di Giovanni Trapattoni, cui dava un passaggio a Milanello con la sua 600 bianca. Cresciuto nelle giovanili del Milan, col quale però non ebbe un rapporto fortunato.
A dir poco.

In primo luogo, da giocatore. «Ero riserva e non vedevo l’ora di prendere il posto di quello svedese anzianotto, ma era di ferro, non si rompeva mai. Un giorno si fracassò la testa e io passai tutta la settimana sognando di rimpiazzarlo. Ma la domenica giocò con la testa bendata. Liedholm aveva 36 anni, io 23». Vince due scudetti dalla panchina, ma totalizzando 20 presenze tra il 1955 e il 1959.
Passa alla Triestina, e poi al Padova. Nel 1961 ritorna e si prende oltre al posto da titolare anche la Nazionale, cinque presenze tra le quali due partite nella spedizione sventurata del 1962 in Cile. Ma quando nel 1963 la squadra vince la sua prima Coppa dei Campioni a Wembley, lui è in panchina. E a 29 anni, carriera finita per i legamenti.
Al che, diventa allenatore. Monza, Treviso, Cesena, Fiorentina, Cagliari, Torino.

Ecco, Torino. Con l’ultimo grande scudetto granata, finora l’unico dopo Superga, con difesa alta, pressing e poesia a centrocampo (Claudio e Patrizio Sala, Pecci, Zaccarelli) e un uragano in attacco (Pulici, Graziani). Col Torino anche un 2°, 3°, 5° posto. Dopo il quale, nel 1979, un incidente stradale nel quale morì un ex compagno nel Milan, Paolo Barison, anche lui nella rosa del 1963. «Il momento più brutto della mia vita. Ho sentito la solitudine. Non la conoscevo», commentò tanti anni dopo. Qualche mese dopo, il Torino lo esonera perché la squadra ha sostanzialmente finito quel ciclo. Nell’ambiente qualcuno inizia a dire che non è più lo stesso, i più miserelli insinuano che abbia perso il senno nell’incidente. Ma quando prende in mano il Bologna, che parte da -5 di penalizzazione, lo porta al settimo posto. Ed è allora che viene chiamato al fatidico ritorno al Milan tornato in serie A dopo il Totonero.
Quel Milan ha un padrone squalificato a vita, un presidente senza poteri, un ex compagno di squadra di Radice vicepresidente dal peso indefinito: è Gianni Rivera, che a inizio stagione parla di possibile terzo posto: la rosa e l’allenatore sembrano autorizzare l’ipotesi.

Ma il fatto è che quella società è inconsistente, e quei giocatori – molti dei quali passati rapidamente dallo scudetto della Stella a una serie B che – come direbbe certa gente – era in realtà un “terzo posto sul campo”, si sentono ancora l’élite del calcio italiano. Con Radice inizia subito male: i senatori si risentono perché il raduno inizia prima del previsto, privandoli di 4 giorni di vacanza. Proibisce anche i massaggi, preferisce che i muscoli vengano tonificati dal lavoro. Per i giornali Radice è il sergente di ferro, l’uomo dagli occhi di ghiaccio, il tedesco. Tra i senatori, pare che Novellino e Antonelli siano i suoi principali oppositori. L’acquisto dello straniero (unico possibile) Joe Jordan, trentenne scozzese arrivato il 10 luglio dopo una serie di rifiuti altrui (il principale, quello del belga Ceulemans) non lo condivide, e quanto al vecchio cuore Aldo Maldera non dev’essere amore a prima vista, se a un certo punto la fascia di capitano passa a Fulvio Collovati – intanto che Franco Baresi è infortunato. Il futuro Mahatma salterà per una malattia misteriosa quasi tutta la prima parte del campionato, Radice di fatto non lo avrà mai a disposizione, e al suo posto giocheranno prima Venturi, poi Battistini. Non che il problema del Milan sia la difesa. Però Baresi sarà uno dei pochi a ricordare l’allenatore come “un innovatore carismatico”.

Il Milan dopo le prime 12 giornate è penultimo. Ha vinto solo una partita, a Napoli su autogol di Ferrario. Che è anche l’unico gol del Milan nelle prime sette partite, fino a quando il Como (che retrocederà praticamente già a febbraio) subisce un gol da Jordan a San Siro. Malauguratamente, pareggerà su rigore con Lombardi. Il Milan non segna veramente mai, il miglior realizzatore di tutto l’anno sarà Dustin Antonelli (papà di Luca) con 4 gol.
(…quattro!)

In questi anni, dopo qualche sconfitta roboante, è capitato di leggere sui social qualcuno che sbotta: “Peggior Milan di sempre”. Chi ha una certa età scuote la testa.

Questo, è il peggior Milan di sempre. Quello che annovera giocatori che hanno avuto una carriera ad alto livello, giovani che diventeranno Campioni del Mondo o vincitori di Coppe dei Campioni, o ancora Campioni d’Italia, o comunque chiuderanno decorosamente la carriera. Il Milan di Radice è, purtroppo, il peggiore di sempre.

Mentre la proprietà passa da Colombo a Farina, a dicembre l’esonero sembra inevitabile. Radice ha contro la squadra, ma la società non interviene perché Giussy Farina è appena arrivato e sta studiando come muoversi, lui che è un ballerino da non credere, nel campo minato in cui è entrato – e nel quale Rivera invece se ne sta fermo, per capire se c’è ancora qualche speranza di diventare in qualche modo presidente. Rivera però parla, e sono bordate: «Radice deve scendere dal piedistallo. Deve diventare un comune mortale come noi». L’allenatore replica, anche lui tramite i giornalisti: «Ma quale piedistallo? Mi è spiaciuto sentire queste cose. Bisogna stare attenti a dire frasi del genere, è anche una questione di stile».
Nulla va come dovrebbe andare, eppure si tira fino a fine gennaio, quando alla prima di ritorno il Milan perde in casa anche con l’Udinese, gol del barone Causio a 4 minuti dalla fine. La classifica conta 12 punti, tre più del Como ultimissimo. Ma volendo anche due meno del Torino (per dire una squadra a caso), decorosamente ottavo. Insomma, basterebbero due-tre vittorie, il risveglio dei senatori, e l’indicibile sarebbe scongiurato.

Farina finalmente si decide. «Mi risulta che Radice abbia contro tutto l’ambiente e anche parecchi giocatori. Questo benedett’uomo non può pretendere di lottare da solo contro il mondo scagliandosi addosso ai mulini a vento. Radice è un ottimo tecnico che al Milan non si è inserito, tutto qui, non c’è niente di drammatico». Rivera dice: «Non potendo esonerare tutti i giocatori, abbiamo esonerato l’allenatore».
Il quale dichiara: «Non ce l’ho con Farina, sono più rammaricato con chi c’era prima. Io non mi sento di aver fallito, mi reputo sempre all’altezza di un compito del genere. Le esperienze, siano positive o negative, arricchiscono sempre e io esco da questa esperienza sempre più convinto che il mio metodo di lavoro e la mia ideologia calcistica sono validi».
Collovati dice la sua. «Come capitano credo di poter interpretare il pensiero della squadra: non so perché mai avremmo dovuto affossare Radice. La situazione si trascina così da tanto tempo, il resto sono solo illazioni. Se in passato c’erano stati contrasti ultimamente si era tutto appianato». Joe Jordan non dice niente, il suo italiano è sempre un disastro, come per tutti i britannici – e questo è un problema non solo con Radice, ma anche con i compagni. Aldone Maldera assicura: «So che qualcuno pensa che non ci siamo impegnati al massimo proprio nella speranza che Radice venisse esonerato ma non è vero. Ed è questo il grave, per la squadra almeno. Certo all’inizio della stagione ci sono state incomprensioni, ma ormai questi problemi erano stati risolti. Il problema era quello del gioco, dei gol, dei risultati».

Viene promosso l’allenatore della Primavera, Italo Galbiati: «Radice secondo me non aveva sbagliato nulla. Forse qualcosa nel rapporto coi giocatori però si è rotto. (…) Se i ragazzi del Milan cercano umanità, in me la trovano. Li conosco bene, io. Forse proprio per questo sono l’uomo più adatto per questo tipo di lavoro. Se il problema è tutto qui, dunque, è già quasi risolto». Il leggendario medico sociale, il dottor Monti, si esprime anche lui sul Corriere della Sera: «Milanello non era un lager con Radice, non è diventato il paese dei balocchi ora. Parecchi resoconti di questi giorni sono stati strumentalizzati da chi aveva interesse a demolire la gestione precedente. Gli allenamenti di Radice non erano affatto cose mostruose; forse conta l’atteggiamento e in questo senso posso dire che allenarsi diventa più o meno pesante in rapporto alla simpatia dei giocatori nei confronti dell’allenatore».

Via Radice, tutto a posto, quindi. Così pare. Ancora Galbiati: «La serie B? Ci salveremo. I giocatori sono bravi, sono solo un po’ sfiduciati, non credono più nei loro mezzi. Più che un allenatore occorre un papà, lo farò io. Il gioco c’è già, basta verticalizzarlo un po’, osare più di quanto si è fatto finora. E soprattutto convincersi che questo Milan non è inferiore a nessuno».
E sarà questa convinzione, forse, a fare i danni peggiori. Il Milan inizia a lottare, ma la prima avversaria è la Fiorentina capoclassifica, a casa sua: si lotta quasi ad armi pari, ma loro segnano un gol, il Milan – tanto per cambiare – no.

I tifosi capiscono il momento, gli spettatori medi passano da 30mila a oltre 50mila per la vittoria in casa col Bologna, ma se con le avversarie blasonate è lecito perdere (3-2 con la Juventus, 2-1 con l’Inter), a marzo arriva una tripla mazzata. Milan-Catanzaro 0-1, Como-Milan 2-0, Milan-Ascoli 0-0. I tifosi cominciano a pensare che forse, il sergente di ferro, doveva usare ancora più ferro. Capitan Collovati chiarisce che lui in serie B non intende giocarci. Gli arriverà una sassata dagli spalti durante una contestazione che causerà una squalifica di San Siro – in effetti ad alcuni giocatori fa pure piacere, sentiranno un po’ meno fischi.

Il Milan chiuderà l’annata con tredici sconfitte e 22 gol su trenta partite. Solo il Como avrà numeri peggiori. Eppure all’ultima giornata i freschi vincitori della Mitropa potrebbero salvarsi, basterebbe una sconfitta del Genoa o del Cagliari. Invece il Cagliari (insieme all’arbitro, che annulla un gol regolarissimo a Ciccio Graziani) ferma la Fiorentina che sta contendendo lo scudetto alla Juventus, la quale invece supera il Catanzaro grazie a un rigore dato (gol di Brady) e uno non dato (spensierata gomitata di Brio a Borghi in piena area). E quanto al Genoa, sta ancora giocando mentre i tifosi del Milan stanno festeggiando la vittoria finale per 3-2 contro un accanitissimo Cesena. E mentre in Romagna, nel campo invaso dalle bandiere, non tutti ascoltano la radio perché convinti che ormai sia fatta, Castellini, il portiere che era stato il giaguaro del Toro di Radice e poi lavorerà a lungo per l’Inter, prende il pallone che ha tra le mani, fa per rinviare… invece la butta in corner. Sul quale il Genoa di Gigi Simoni (futuro allenatore interista) segna, con la riserva Mario Faccenda.

Negli spogliatoi di Cesena, quasi tutti gli eroi della Stella rilasciano le ultime dichiarazioni da milanisti. Retrocesso da pochi minuti, Walter Novellino insisterà sulle colpe di Radice. «Non credo che avremmo dovuto svegliarci prima. Piuttosto erano certe decisioni che avrebbero dovuto essere prese prima. Sono stati quei 12 punti nelle 16 partite iniziali a condizionarci».
Jordan, tristissimo (col Cesena ha fatto l’altro dei suoi due gol di quella stagione) dice che intende rimanere, è suo dovere. Sarà l’unico degli anziani a restare, col 28enne portiere Ottorino Piotti, in una squadra che ripartirà dai ragazzi: Franco Baresi, Battistini, Evani, Icardi, Tassotti, Incocciati, Cuoghi.
Alfredo Walter Amato Lenin Novellino andrà all’Ascoli, Roberto Antonelli al Genoa dove darà il suo contributo a un 12mo e a un 14mo posto, con retrocessione. Maldera alla Roma dove vincerà lo scudetto. Collovati andrà in un’altra squadra, non vincerà mai un campionato – però due mesi dopo (senza mai aver vestito la maglia dell’altra squadra in questione) vincerà i Mondiali del 1982, che il 22enne Baresi vincerà dalla tribuna.

Galbiati si rifarà e con gli interessi, più avanti, a fianco di Fabio Capello.

Gigi Radice invece ricomincerà da Bari. Poi, già nel 1984 tornerà a Milano, all’Inter, dove ritroverà Collovati. Dopo un inizio preoccupante, arriverà quarto ma sarà fatto uscire dalla porta di servizio pur di soffiare un al Milan un altro allenatore, Ilario Castagner. Radice comunque allenerà il Torino, la Roma, il Cagliari, la Fiorentina – dove rimarrà famoso lo sclero di Vittorio Cecchi Gori, che con la squadra al sesto posto telefonerà al Brogesso di Biscardi per annunciarne sbraitando l’inaspettato esonero.
Girerà la voce che il sergente di ferro si fosse un po’ allargato con la vistosa moglie del presidente.
Nel qual caso, sarebbe stato l’unico vero guizzo da diavolo di una onorata carriera – purtroppo per noi, onorata soprattutto altrove.

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