Closing Time

abbiati2003

 

Chi vi scrive si vanta di essere in possesso di una memoria solitamente molto buona, e le situazioni di suo totale oblio mentale si contano sulle dita di una mano – per esempio, quella volta che al mio compleanno incappai in un buco spazio-temporale di due ore e mezza dopo aver bevuto tre shottini di rum liscio uno via l’altro. L’equivalente calcistico di quella curiosa circostanza è uno e uno solo, scritto nella pietra, immortale e indelebile nei secoli dei secoli: i dieci minuti finali di Inter-Milan 1-1, semifinale di ritorno di Champions 2003. Il derby più angosciante, sfibrante e paranoico della storia di Milano.

Per dare la misura del livello di tensione a cavallo di quella prima decade di maggio, basti dire che tutti i giornali scrivono la stessa cosa: tra Ancelotti e Cuper, chi uscirà sconfitto dal doppio confronto verrà licenziato a fine stagione. Cominciata con ambizioni neanche tanto velate di triplete, la stagione del Milan è declinata strada facendo ed è diventata l’unione di tante piccole consolazioni: la finale di coppa Italia da giocare contro la Roma, i due derby vinti entrambi per 1-0, una Champions League in cui siamo arrivati per miracolo in semifinale grazie al gol di Inzaghi-Tomasson all’Ajax. Ma proprio come in un affresco di Michelangelo, il tormento e l’estasi culminano negli stessi 180 minuti: la semifinale Milan-Inter vale la tripla goduria del ritorno in finale a spese dei cuginastri oppure la dannazione eterna per aver perso gli unici derby che contano dopo averne vinti due sostanzialmente inutili in campionato.

L’andata è finita 0-0 dopo una partita molto bloccata con pochissime occasioni: risultato buono anzi ottimo per il Milan, che giocando in casa aveva la principale preoccupazione di non subire gol. Tolto lo 0-0 che ovviamente rinvierebbe il verdetto ai supplementari, siamo perciò nella felice posizione di poter contare su due risultati su tre: andiamo in finale anche pareggiando. Figuratevi cos’è Milano alle 20,30 di martedì 13 maggio 2003: una città, per dirla alla Leonard Cohen,dead as Heaven on a Saturday night“. Siamo tutti in casa, al bar, allo stadio; in molti casi è marito contro moglie, padre contro figlio. Vai Leonard.

Zero dubbi per Ancelotti che schiera l’unico undici titolare possibile: ogni volta che ultimamente ha provato qualche variazione sul tema, da Brocchi vice-Pirlo a Laursen centrale a Serginho trequartista, ne siamo usciti con le ossa rotte. Molti più dubbi per l’amletico Cuper che alla fine decide di confermare 10/11 della formazione dell’andata: fuori Coco e dentro Cristiano Zanetti, con Crespo e soprattutto il nostro adorato Recoba in attacco. La partita è di luminosa bruttezza. Già ottenebrati di natura, molti dei ventidue in campo si sono fatti ulteriormente suggestionare dall’atmosfera di psicodramma permanente che grava sulla sfida; il risultato è un primo tempo da saloon in cui fioccano i calcioni e le risse attorno al mediocre arbitro francese Veissière. Il più solerte a distinguersi in questa cayenna è il prode Materazzi, da quella sera “Macellazzi” ad honorem, che si fa notare per un paio di attentati all’apparato riproduttivo di Shevchenko. Sul taccuino delle palle-gol c’è poco e niente: un destro strozzato di Crespo e un diagonale fuori di poco di Shevchenko su lancio di Maldini. Quando il primo tempo sta per finire e l’aridità delle emozioni è degna di un film di Antonioni, arriva di colpo la sferzata: Seedorf imbecca Shevchenko che gli ha dettato il movimento, Sheva va via a Cordoba col primo controllo e anticipa l’uscita di Toldo mandando il pallone sotto la traversa, nonostante il disperato sgambetto del colombiano. La minoranza rossonera che gremisce San Siro si produce di colpo tutta insieme in un casino infernale, e diteci se anche voi non avete fatto lo stesso davanti alla tv: sì, in quel momento siamo proprio convinti di essere già in finale.

Intanto, resosi conto di una formazione palesemente sbagliata, Cuper toglie purtroppo il nervosissimo Di Biagio e l’ignobile Recoba, rimpiazzandoli con Dalmat e il 18enne babau Oba Oba Martins, che corrisponde perfettamente al profilo: non importa se sai realmente giocare a pallone; se sei un teen-ager velocissimo e sconosciuto riuscirai a far passare qualche guaio a Maldini e Costacurta. La cosa non ci crea sul momento chissà quali preoccupazioni: convinti come il maestro del Candide di Voltaire che questo sia il migliore dei mondi possibili, non vediamo razionalmente come un ragazzino possa impensierire una difesa di mostri sacri in un contesto così prestigioso. E in effetti per mezz’ora abbondante non succede niente: un destro sballato del fumosissimo Sergio Conceiçao e i soliti mischioni poco decorosi sotto porta. Guardiamo il cronometro e sorridiamo sempre più distesi quando constatiamo che Don Abbondio Cuper non ha neanche il coraggio di rischiare le tre punte, mandando dentro Kallon ma togliendo Crespo. Un minuto alla volta, respiriamo a pieni polmoni; scherziamo, quasi. La vita è bella.

E’ il minuto 83 quando le cose iniziano a prendere una piega sgradevole. Costacurta sballa un rinvio e coglie di sorpresa Maldini, che si fa sorprendere alle spalle da Oba Oba, il quale purtroppo non ha neanche il tempo di pensare che è solo davanti al portiere: l’avesse, sparerebbe una pallata sui cartelloni, come tante volte dimostrerà in futuro. Invece Martins la mette di piattone e iniziano a succedere cose surreali: 60 mila persone in cammino verso l’eutanasia si risvegliano di colpo e molto più chiassose di prima, aizzate dalle convulse capriole di un ragazzino nigeriano eroe per caso. Avete presente la scena di Goodfellas in cui Ray Liotta prepara il ragù per la cena della domenica e ogni tanto butta l’occhio fuori dalla finestra, angosciato dall’elicottero dell’FBI che sta gironzolando sopra casa sua? (Curioso: nel film era l’11 maggio, e oggi è il 13 maggio.) Quelli siamo noi: un occhio al cronometro e uno al campo, mentre l’Inter è ora trasfigurata e ci sta assediando ventre a terra, in un crescendo inconcepibile di malessere e buchi allo stomaco. Tutto ciò che noi vediamo come un incubo e che loro non osavano neanche sognare è a tanto così dal diventare realtà: quei 180 minuti di cui sopra sono diventati dieci, a rendere il dramma ancora più sublime.

Poi i ricordi si fanno offuscati e all’autore di questo pezzo è stato possibile ricostruirli solo grazie a Youtube e agli archivi dei giornali online. A quanto pare ci fu un momento in cui Kallon si ritrovò solo davanti ad Abbiati dopo uno svarione di Kaladze, chiuse gli occhi e calciò, ma trovò il polpaccio di Christian a negargli la gloria – diamine, la squadra che avrebbe dominato l’Europa per il lustro successivo, con due vittorie e quattro semifinali Champions in cinque anni, stava rischiando di farsi sbattere fuori dall’Inter di Martins e Kallon: “football, bloody hell, disse una volta un tale che ha allenato il Manchester United fino a ieri. Passò un altro paio di minuti e un cross di Conceiçao diretto sul secondo palo fu incornato da Cordoba; appoggiato al palo, Abbiati la smanacciò quel tanto che bastò per metterla ancora in corner. Pochi di noi forse sono così vecchi da aver vissuto in modo consapevole Italia-Germania 4-3 dei Mondiali 1970, e perciò abbiamo ascoltato invidiosi i racconti eroici che ne facevano i nostri genitori o nonni, pensando a come sarebbe stato bello esserci. Venite a raccontarcele adesso, tutte quelle scemenze da seconda serata di Raitre sull’elogio della sofferenza. E’ anche uscito Inzaghi e non abbiamo nessuno capace di tenerla vicino alla bandierina. Ma improvvisamente è davvero closing time: Veissière fischia tre volte e il boato di fine primo tempo si amplifica per mille, esce dai bar e dai palazzi, spacca i vetri delle finestre e si propaga in filodiffusione per mezza Milano. Non vincete mai/non vincete mai. Oh beh, neanche noi, se è per questo: andiamo a Manchester con due pareggi. Football, bloody hell.

Ma non ci si può rilassare. La sera dopo c’è Juventus-Real Madrid e quasi viene voglia di tifare Real: sarebbe atroce perdere in finale contro i gobbi e rendere inutile tutto questo stillicidio. E con un Nedved del genere, un Nedved da Pallone d’Oro, i gobbi sarebbero stra-favoriti. Speriamo bene.

tifosimilan

INTER: Toldo, Cordoba, Materazzi, Cannavaro I, Zanetti J., Sergio Conceicao, Zanetti C., Di Biagio (46′ Dalmat), Emre, Recoba (46′ Martins), Crespo (71′ Kallon) – All.: Cuper
MILAN: Abbiati, Costacurta, Nesta, P. Maldini, Kaladze, Gattuso, Pirlo (89′ Brocchi), Seedorf, Rui Costa (64′ Ambrosini), Shevchenko, Inzaghi I (80′ Serginho) – All.: Ancelotti

Reti: 45′ Shevchenko (M), 84′ Martins

Arbitro: Veissière

Pubblicato da Giuseppe Pastore

Pugliese, classe 1985, milanista di ferro. Prima partita di cui ho memoria: Milan-Barcellona 4-0. Ammetterete che poteva andarmi peggio. Qui sotto i miei contatti.

5 Risposte a “Closing Time”

  1. Il boato rossonero al fischio finale mi ha fatto tornare i brividi di allora, un delirio calcistico a tutti gli effetti, non finirò mai di ringraziare Sheva, Abbiati, il palo e la bottiglia di Pampero che seguì la partita accanto a me il 13 maggio 2003 svuotandosi prima lentamente poi dopo il gol di Martins sempre più velocemente!!!!!

  2. 22/Ottobre/2014 nonostante siano passati anni ricordo ogni momento come fosse ieri. I 20 minuti finali li ho vissuti in piena apnea perchè i nostri gladiatori in un’arena ostile non mollavano mai nonostante il forcing finale dell’inter che mi ha fatto davvero paura. Una sofferenza indicibile per me Milanista di fede da sempre – anche in serie ‘B’ eravamo presenti –
    Al goal di Martins ho urlato più di un interista, un NOOOOOOOOOOOOOO che hanno sentito anche allo stadio e vai fino alla fine in apnea a guardare i nostri in balìa di una squadra e uno stadio che ora terrorizzavano maledettamente. Lentamente sono passati i minuti finali, anche il recupero e poi l’urlo di gioia e la ripresa a respirare. Non ci credo SIAMO ANCORA IN FINALE e ci siamo inculati i cugini. Il giorno dopo c’era la Juve col Real, ricordo solo l’ammonizione di Nedved, un altro goal per noi che poi siamo andati a diventare Campioni. Grazie Pippo Inzaghi per il tuo goal in extremis con l’Ajax, lì ho capito che la potevamo vincere.

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